Millennio dell'Abbazia Benedettina della Santissima Trinità di Cava de' Tirreni |
Il
fondatore della badia fu S. Alferio,
nobile salernitano – già familiare ed ambasciatore del principe di
Salerno Guaimario III - che nel 1011 si ritirò sotto la grande
grotta <<Arsicia>> per menarvi vita eremitica.
L’accorrere dei discepoli, attratti dalla sua santità, lo indusse a
costruire un monastero di modeste dimensioni.
Egli però continuò ad
abitare un piccolo vano della grande grotta, che si era scelto come
cella, ed in questa, in età molto avanzata, morì e fu sepolto. Era
il 12 aprile 1050.
Fin
quasi alla fine del sec. XIII Alferio ebbe una serie di successori
eccezionali, di cui undici, oltre il fondatore, sono stati
riconosciuti dalla Chiesa come santi o beati: S. Leone I (1050-79),
S. Pietro I (1079-1123), S. Costabile (1123-24), B. Simeone
(1124-40), B. Falcone (1140-45), B. Marino (1145-
70), B.
Benincasa (1171-94), B. Pietro II (1195-1208), B. Balsamo (1208-32),
B. Leonardo (1232-55), D. Tommaso (1255-64), D. Giacomo (1264-66),
D. Americo (1264-68), B. Leone II (1268-95).
Tra di
essi si distinse S. Pietro I, nipote di Alferio, che ampliò
notevolmente il monastero e lo fece centro di una potente
congregazione monastica con centinaia di chiese e monasteri
dipendenti, sparsi in tutta l’Italia meridionale. Furono più di
3.000 i monaci a cui S. Pietro diede l’abito. Il Papa Urbano II, che
lo aveva conosciuto a Cluny, nel 1092 visitò l’Abbazia e ne consacrò
la basilica. Particolarmente notevole fu anche il governo del B.
Benincasa, che nel 1176 inviò in Sicilia un centinaio di monaci per
popolare la celebre abbazia di Monreale, eletta dalla munificenza
del re Guglielmo II.
Papi e
vescovi, principi e signori feudali favorirono lo sviluppo della
Congregazione Cavense, che giovò moltissimo alla riforma della
Chiesa, promossa dai grandi papi del sec. XI, e al benessere della
società civile.
I principi e signori, oltre
ad offrire feudi, beni e privilegi, donarono all’abbazia o la
proprietà o il diritto di patronato su chiese e monasteri. I vescovi
ambivano di avere nelle loro diocesi i Cavensi per il bene che vi
operavano.
Da
parte sua Cava costituiva per i Papi un caposaldo di cui potevano
fidarsi pienamente, tanto da affidarle in custodia alcuni antipapi.
Amorosa fu la cura che gli abati avevano delle popolazioni.
Ad esse
assegnavano le terre delle vaste possessioni dell’abbazia con
l’obbligo di metterle a coltura e di prestare, dopo un certo numero
di anni, o mano d’opera o un censo proporzionato alla fertilità del
suolo.
Per la difesa delle
popolazioni del Cilento dalle incursioni saracene S. Costabile e B.
Simeone costruirono il castello dell’Angelo, detto poi Castellabate.
I
monaci inoltre gestivano ospizi e ospedali, che venivano
generosamente destinati alle necessità dei bisognosi ed esercitavano
il ministero pastorale nei monasteri dipendenti.
Le
chiese invece venivano affidate dagli abati a sacerdoti secolari di
loro fiducia.
Il sec.
XIV rappresenta per Cava un periodo di ripiegamento su se stessa. E’
particolarmente curata la difesa e l’amministrazione dei beni
temporali, sono prodotte splendide opere d’arte, ma l’incidenza
dell’azione spirituale e sociale della badia, anche a causa dei
rivolgimenti politici, diminuisce sensibilmente. Gli abati di questo
periodo, sempre eletti a vita dai monaci, furono: D. Raynaldo
(1295-1300), D. Roberto (1301-11), D. Bernardo (1311-16), D. Filippo
de Haya (1316-31), D. Gottardo (1332-40), D. Mainerio (1340-66), D.
Golferio (1366-74), D. Antonio (1374-83), e D. Ligorio de Maiorinis
(1383-94). Nel 1394 il papa Bonificacio IX conferì il titolo di
<<città>> alla terra di Cava, elevandola in pari tempo a diocesi
autonoma, con un proprio vescovo, che doveva però risiedere alla
Badia,
la cui chiesa venne dichiarata cattedrale della diocesi di Cava.
Il monastero non sarà
governato da un abate, ma da un priore e la comunità dei monaci
formerà il capitolo della cattedrale.
Furono
vescovi:
Mons.
Francesco de Aiello (1394-1407),
Mons.
Francesco de Mormilis (1407-19),
Mons.
Sagax de Comitibus (1419-26),
Mons.
Angelotto Fusco (1426-44).
in
commenda, percependone le rendite, l’abbazia e la diocesi cavense.
Fu la sorte di quasi tutte
le più ricche abbazie nei secc. XIV e XV. Ebbe come successori i
cardinali commendatari: Luigi Scarampa (1444-65), Giovanni d’
Aragona (1465-85) e Oliviero Carafa (1485-97).
Specialmente i commendatari, benchè uomini eminenti, portarono
l’abbazia ad una grande decadenza.
Lontani
da essa, la governarono mediante fiduciari, ai quali interessava
principalmente non il monastero ma la diocesi e l’amministrazione
dei beni temporali.
La disciplina, in assenza di
un capo responsabile, decadde miseramente e i monaci si ridussero a
pochi, anche per l’esiguità dei mezzi di sussistenza loro assegnati.
L’ultimo commendatario ebbe
però il merito di interessarsi perché la badia di Cava fosse
aggregata alla congregazione di S. Giustina da Padova, detta poi
Congregazione Cassinese.
La
riforma poneva a capo della badia non più un vescovo o un cardinale
ma un abate temporaneo: così rifiorì la disciplina monastica e il
culto delle scienze e delle arti.
L’archivio,
prezioso retaggio della Congregazione Cavense, fu oggetto di cure
amorose e di studio.
Vi si
segnalarono: l’abate D. Vittorino Manso, che fondò la biblioteca,
l’abate D. Alessandro Ridolfi, il primo storico della badia, e
l’infaticabile D. Agostino Venereo, archivista.
Rifiorì
anche la santità con D. Benedetto Zitelli di Cava (1648), D.
Zaccaria Capograsso (1633) e il suddetto D. Agostino (1638).
Nel
corso dei secoli XVI-XVIII l’abbazia fu rinnovata anche
architettonicamente. L’abate D. Giulio De Palma ricostruì la chiesa,
il seminario, il noviziato, e varie altre parti del monastero.
La
soppressione napoleonica, per merito dell’abate D. Carlo Mazzacane,
passò senza arrecare gravi danni alla badia: 25 monaci rimasero a
guardia dello Stabilimento (tale fu il titolo dell’abbazia) e il
Mazzacane ne fu il Direttore.
della
SS. Trinità di Nuova Norcia. Nel 1866, in considerazione dei valori
artistici e scientifici accumulati nelle sue mura e del fatto che
era centro di una diocesi, il monastero fu dichiarato Monumento
Nazionale e, come tale, si salvò dalla rovina a cui andarono
incontro tante altre illustri abbazie italiane.
Eroica
si dimostrò allora la virtù dei pochi monaci rimasti.
Privi
di ogni risorsa materiale, seppero affrontare non pochi disagi per
sopravvivere.
Aprirono un nuovo campo di apostolato monastico istituendo un
collegio laicale, che è tuttora fiorente, e redassero il Codex
Diplomaticus Cavensis, in cui pubblicarono il testo integrale
delle più antiche pergamene dell’archivio Cavense.
Si
tratta di un’opera monumentale, che ha resa famosa la badia in tutto
il mondo scientifico.
Alcuni
dei nomi più prestigiosi meritano qui un ricordo: D. Guglielmo
Sanfelice, poi cardinale arcivescovo di Napoli, D. Michele Morcaldi,
autore del famoso vocabolario greco. I più moderni abati, come mons.
Placido Nicolini, Mons. Ildefonso Rea e loro successori, tanto
stimati ed amati da quanti li conobbero, hanno continuato degnamente
l’opera dei SS.Padri Cavensi.
Essi
hanno restaurato ed ampliato gli edifici del monastero e dato nuovo
impulso alla sua vita millenaria, che dura ininterrotta ancora oggi.
Nel
1025 S.Alferio aveva già costruito la sua chiesa, che aveva una sola
navata.
Questa
nel 1092 fu ampliata e trasformata in basilica a più navate da
S.Pietro I abate.
L’attuale basilica sorse invece nel 1761 per iniziativa dell’abate
D. Giulio De Palma e su disegno dell’architetto Giovanni del Gaizo,
il quale, qualche anno dopo, progettò anche la facciata. Seguendo i
criteri dell’epoca, la vecchia basilica venne abbattuta, ad
eccezione della cappella dei SS. Padri e delle fondamenta, che
furono rinforzate. L’interno della basilica, specialmente dopo il
moderno rivestimento delle pareti e la pavimentazione con marmi
policromi, è luminoso ed armonico.
La
prima cosa che attira l’attrazione del visitatore della basilica è
l’ambone del sec. XII, recentemente ricostruito.
E’
molto probabile che sia un dono del re di Sicilia Ruggiero II, il
quale volle che la
regina Sibilla, sua seconda moglie morta a Salerno nel 1150, fosse
seppellita nella chiesa della badia e le fosse edificata una
magnifica tomba ornata di mosaici, di cui si conserva solo il
sarcofago.
Il
seppellimento nella chiesa o nel cimitero della badia era
ordinariamente accompagnato ad una donazione. Dell’antica basilica,
oltre all’ambone, resta ancora, in fondo alla navata destra, la
“Cappella dei SS. Padri”, ristrutturata e rivestita di marmi
policromi (mosaici fiorentini) nel 1641.
Subito
dopo la balaustra, prima della cappella seicentesca, si notano sulle
pareti quattro statue marmoree, notevoli quelle cinquecentesche di
S. Felicita e di S. Matteo.
Procedendo, a destra è la cella grotta di S. Alferio.
Le cui
reliquie sono in un’urna sotto l’altare; a sinistra è l’altare di S.
Leone con la sua urna e, sulla parete, altre reliquie di santi; di
fronte l’altare del SS. Sacramento con l’urna contenente le reliquie
di S. Costabile.
Gli
affreschi della basilica sono opera del pittore calabrese Vincenzo
Morani, che nel 1857 vi rappresentò: sulla volta del coro “S.
Alferio in contemplazione della SS. Trinità”; nella cupola una
visione dell’Apocalisse, cioè l’”Adorazione del Redentore”; nel
transetto a destra la “Morte di S. Benedetto” con altre scene della
sua vita e santi e sante benedettini; a sinistra la “Resurrezione”
con profeti ed apostoli.
Il suo
capolavoro però è la tela della “Deposizione dalla croce”, che si
trova sull’altare del transetto a sinistra. Sono da notare inoltre
il quadro del primo altare a destra dell’ingresso rappresentante “S.
Mauro” di Achille Guerra, la porta del battistero (sec. XVI) a
sinistra, e il portale marmoreo con la bellissima porta
cinquecentesca della sagrestia. Sotto i 12 altari della basilica
sono deposte le reliquie dei 12 abati santi o beati della badia.
Nel
poco spazio esistente fra la grotta Arsiccia e il ruscello Selano
non si è potuto creare un chiostro proporzionato alla grandiosità
del monastero.
In
compenso il piccolo chiostro dei sec. XI-XIII è la parte più
suggestiva e caratteristica della badia.
Un muro
romano, ancora in piedi in questa parte più profonda della grotta,
dimostra l’esistenza di costruzioni anteriori alla venuta di
Alferio.
La
piccola scultura del fauno,
rinvenuta qui, in un muro che delimitava una porzione della
grotta, è forse segno di un culto pagano esercitato nella grande
spelonca.
Adiacente al chiostrino è la grande sala del Capitolo del sec. XIII.
In essa sono sistemati alcuni pregevoli sarcofagi romani, attribuiti
per lo più al III secolo d.C.
Essi
furono inviati qui da illustri personaggi per esservi seppelliti.
La
splendida sala del sec. XIII adibita a museo è una scoperta avvenuta
dopo la seconda guerra mondiale.
Nascosta da soprastrutture, era assolutamente invisibile.
Un
saggio fortuito rilevò l’esistenza di un capitello sulle pareti e,
successivamente, delle colonne e di tutta la struttura della sala.
La
volta è stata rifatta perché irreparabilmente
lesionata; le finestre originali non si sono potute ricostruire
perché mancavano gli elementi, ma tutto il resto conserva la sua
originalità.
Era
parte di un palazzo, distinto dal monastero e adibito a foresteria.
Un’altra sala dello stesso palazzo di dimensioni quasi uguali e
adiacente alla prima dalla parte occidentale, crollò all’inizio di
questo secolo, ma al piano terra resta ancora l’immenso salone su
cui le due sale erano edificate.
Il
merito del ripristino della sala spetta in egual misura all’abate
del tempo Mons. Mauro De Caro e al prof. Bruno Molajoni, allora
Soprintendente alle Gallerie della Campania.
Sotto
la guida di quest’ultimo l’architetto Ezio de Felice restaurò
sapientemente la sala e il prof. Ferdinando Bologna eseguì da par
suo l’ordinamento del museo.
Vi è
raccolta ed esposta una buona parte delle opere d’arte possedute
dalla badia.
Il
Collegio “S.Benedetto”
fu istituito nel 1867 ed è situato nella parte più alta del
monastero in locali ampii ed ariosi.
I
collegiali frequentano le scuole della Badia (aperte ad esterni e
semiconvittori, anche
ragazze), che comprendono la scuola media, il ginnasio e il liceo
classico, pareggiate alle statali nel 1894, e il liceo scientifico
di recente istituzione, che è legalmente riconosciuto.
I
numerosi ex alunni che occupano con onore posti elevati nella vita
politica, amministrativa e professionale, attestano i lusinghieri
risultati raggiunti dal collegio in oltre un secolo di attività.
La
Biblioteca della Badia possiede oltre 40.000
volumi
con numerosi incunaboli e importanti cinquecentine.
I
volumi sono catalogati e sistemati in tre sale.
Le
scienze più rappresentate sono la Patristica, la Teologia, il
Diritto e, soprattutto, la storia.
Un
catalogo per autori ne facilita la consultazione.
Ma è
l’archivio che ha resa famosa la Badia. Nelle due elegantissime sale
della fine del ‘700 sono contenuti preziosi manoscritti pergamenacei
e cartacei, più di 15.000 pergamene, di cui la più antica è del
792, e un considerevole numero di documenti cartacei. Dei codici
(manoscritti in pergamena) esiste un catalogo completo a stampa
ancora disponibile; presto sarà approntato anche il catalogo dei
manoscritti cartacei.
Tra i
codici più famosi ricordiamo la Bibblia visigotica del sec.IX, il
Codex Legum Langobardorum del sec.XI, le Etymologiae
di
Isidoro del sec.VIII e il De Temporibus del Ven.Beda del sec.XI,
ai cui margini i monaci annotarono gli avvenimenti più importanti
della badia e del mondo contemporaneo. Tali note marginali
costituiscono gli Annales Cavenses più volte pubblicati.
Quanto
alle pergamene, i documenti privati sono ordinati cronologicamente e
sistemati nella sala diplomatica in arche di cui ciascuna contiene
120 pergamene. I documenti pubblici (bolle papali o vescovili,
diplomi di imperatori, re e signori feudali) si trovano invece
nell’arca magna in numero di oltre 700, ordinati anche essi
cronologicamente.
La
consultazione è resa facile agli studiosi da un Regestum
Pergamenarum, manoscritto di 8 volumi in folio compilato da monaci
nel secolo scorso.
Vi si
trova il riassunto di tutte le pergamene con l’indicazione dell’arca
in cui sono contenute. I documenti già pubblicati nel Codex
Diplomaticus Cavensis appartengono agli anni 792-1080 e sono
esattamente 1669.